L'arte dei caricamenti | Frequenza Critica | The Games Machine

2022-10-22 20:14:13 By : Ms. Fandy Lee

Molti considerano i caricamenti un male necessario da estirpare il più presto possibile, ma in realtà scoprire i tanti modi in cui gli sviluppatori cercano di nasconderli o di renderli meno tediosi può essere molto stimolante.

Credo che nessuno si sia dimenticato degli elogi di Mark Cerny al rivoluzionario SSD NVMe di PlayStation 5 durante la presentazione delle nuova console Sony di oltre due anni orsono. La promessa era che questa strabiliante tecnologia avrebbe ridotto ai minimi termini, se non direttamente annullato, i caricamenti dei giochi di nuova generazione, offrendo al giocatore esperienze senza soluzione di continuità. Il tempo è passato e questa rivoluzione ancora si fa attendere: è ancora presto per dire se si sia trattato di semplice marketing o se la necessità di continuare a pubblicare giochi cross-gen abbia tarpato le ali agli sviluppatori. Senza dubbio giochi vecchi e nuovi hanno ottenuto tempi di attesa ridotti e piccoli prodigi come il quick resume di Xbox, ma concettualmente poco o nulla è cambiato, i mondi di gioco non sono stati ripensati per sfruttare appieno una tecnologia che, in realtà, gli utenti PC conoscono da più di un decennio. Non è mia intenzione discutere adesso della questione, ma vorrei invece concentrarmi sui caricamenti, presenti fin dagli inizi dell’industria videoludica ma profondamente ripensati nel corso del tempo. Tagliamo la testa al toro: sono convinto che ci accompagneranno ancora per parecchio tempo. Oggi le memorie di massa sono diventate velocissime, ma rimangono ancora lontane dalle memorie RAM; i caricamenti sono proprio il risultato di questo collo di bottiglia.

Qualche settimana fa ho terminato Shadow of the Tomb Raider (giocato su Stadia, ridete pure di me). Durante i titoli di coda ho provato una strana sensazione di fastidio che non riuscivo bene a identificare: non era colpa del gameplay poco innovativo o della scrittura traballante, c’era qualcos’altro. Dopo qualche minuto, ho capito la natura del problema: con mia somma indignazione mi sono accorto di aver appena passato oltre trenta ore della mia vita in uno dei giochi col maggior numero di caricamenti della storia. Allo stesso tempo, mi sono resto conto che gli sviluppatori ormai si sono fatti furbi: Shadow of the Tomb Raider non ha praticamente schermate di caricamento (fanno eccezione quella iniziale e il viaggio rapido), ma usa una serie di trucchetti che permettono di passare da una zona all’altra senza interruzioni, con un particolare feticismo nei confronti dei cunicoli e delle strettoie, il cui numero va oltre l’umana comprensione. Senza dubbio Eidos Montréal è in ottima compagnia nella continua ricerca di metodi per eliminare i caricamenti senza eliminare i caricamenti, e lo è da diverso tempo. Vi sblocco un ricordo:

No, non voglio richiamare quel periodo in cui andare in giro con uno skate era di moda quanto i balletti di TikTok attuali. American Wasteland, classe 2005, ha rappresentato un momento di svolta per la saga Tony Hawk, perché per la prima volta veniva provato un approccio open world. Questa pubblicità è molto precisa nel suo linguaggio: parla di un gioco senza schermate di caricamento, non di un gioco senza caricamenti. Un modo per pararsi le spalle se vogliamo. American Wasteland è stato uno dei primi giochi, se non il primo, a introdurre il concetto di zona di raccordo giocabile. Il mondo è effettivamente costituito da mappe distinte, ma queste vengono connesse da lunghi corridoi da percorrere; la genialata sta nel fatto che queste aree, sebbene più spoglie rispetto allo standard, non interrompono né rallentano il flusso di gameplay, col giocatore libero di continuare a concatenare i suoi trick. Non è una cosa da poco per una produzione che fa del ritmo forsennato uno dei suoi cavalli da battaglia. Ironia vuole che oggi questo approccio non sia più quello dominante, perché la tendenza più diffusa è quella di rallentare e limitare il gameplay per nascondere i caricamenti.

L’idea alla base dei corridoi di Tony Hawk’s American Wasteland la ritroviamo anche nella saga di Assassin’s Creed, seppure in maniera più limitata. Mi sento addirittura di spezzare una lancia a favore di FIFA e del suo sistema che sceglie dinamicamente gli allenamenti da farci svolgere durante i caricamenti in base alle nostre prestazioni; è un po’ un peccato che le versioni più recenti abbiano ridotto così tanto i tempi di attesa da portare EA a eliminare questa caratteristica. Un altro gioco che offre un centro di allenamento mentre si attende che il livello carichi è Bayonetta, e si tratta di una trovata ottima vista la complessità del sistema di combattimento dell’action di Platinum Games. I minigiochi durante i caricamenti, piuttosto diffusi qualche anno fa, sono invece dispersi in azione: fino al 2015 erano sotto brevetto di Namco, ma ora che questo brevetto è scaduto quasi nessuno sembra volerci puntare.

Il 2006 è l’anno di Gears of War. American Wasteland era fortemente limitato dall’hardware vetusto di Playstation 2, mentre lo sparatutto di Epic nasce proprio per dare sfoggio della potenza bruta di Xbox 360, capace di far impallidire anche i PC da gioco più carrozzati. E come spesso accade, la nuova generazione porta soprattutto a un aumento della fedeltà grafica, con gli altri elementi lasciati un po’ sullo sfondo. In Gears i caricamenti assumono una funzione non solo tecnica, ma anche narrativa. Dopo le sparatorie capita spesso e volentieri che Marcus si metta in contatto col comando o con altri personaggi. In queste sezioni la velocità di movimento è limitata e non è possibile sparare o interagire con l’ambiente; è un modo per far riprendere fiato al giocatore dopo la precedente scarica di adrenalina e per portare avanti la storia, ma è anche un trucchetto usato per dare al motore il tempo di mettere al loro posto nuovi elementi dello scenario.

L’Unreal Engine 3 nel corso del tempo si è fatto giustamente una cattiva fama per la lentezza esasperante nel caricamento degli elementi. Essendo stato in assoluto il motore più utilizzato della generazione Xbox 360/PS3, è normale che tanti sviluppatori abbiano dovuto lavorare parecchio per compensare o nascondere le sue limitazioni. La conseguenza è che i caricamenti nascosti hanno raggiunto lo stato dell’arte proprio in quel momento storico, fino a diventare dei veri e proprio fenomeni di costume. INDIMENTICABILI I LENTISSIMI ASCENSORI DI MASS EFFECTTra gli infiniti meme generati dalla saga di Mass Effect, quello degli ascensori è forse uno dei più indimenticabili. Possibile che in un universo dove le astronavi viaggiano a velocità superiori a quella della luce ci si debba muovere tra i vari livelli della Cittadella alla velocità di una tartaruga zoppa? Anche in questo caso, ovviamente, è un modo per caricare i vari livelli. Per fortuna all’utile si unisce il dilettevole, perché durante queste lunghe attese si svolgono alcuni dei dialoghi più spassosi del gioco. Non di soli ascensori a manovella si vive, e infatti Mass Effect è stato anche apripista nel nascondere i caricamenti all’interno di filmati prerenderizzati. Oggi la tecnologia si è evoluta e molti giochi si possono permettere di ricorrere a filmati in tempo reale senza che si verifichino problemi di prestazioni (questo succedeva per esempio in alcuni vecchi Call of Duty). Lo fa parecchio bene, tra gli altri, proprio Shadow of the Tomb Raider, che fortunatamente dà al giocatore la possibilità di saltare le scene d’intermezzo una volta che il caricamento è terminato.

INDIMENTICABILI I LENTISSIMI ASCENSORI DI MASS EFFECT

I capitoli successivi della saga fantascientifica di Bioware non hanno mai fatto molto meglio, a dimostrazione del fatto che si tratta di una limitazione della tecnologia utilizzata e dell’hardware delle console. Mi ha sempre lasciato perplesso la presenza di un caricamento all’interno del ponte della Normandy in Mass Effect 3, travestito da controllo di sicurezza. Ha sicuramente un senso logico (oltre la porta si trova il centro di comando, che va protetto), ma è davvero possibile che il motore non riesca a gestire un’area che in fin dei conti è molto piccola e statica? La risposta è no, perché basta scaricare una piccola mod per la Legendary Edition per scoprire che l’alternativa a quel posto di controllo è uno stutter abbastanza pesante; forse si risparmia mezzo secondo di tempo, ma l’effetto non è piacevole. Il terzo e ultimo gioco in Unreal Engine 3 che voglio citare è Arkham Asylum, che sfrutta sia i trucchetti di Gears (Batman che cammina lentamente mentre parla alla radio) che le zone di raccordo, nella forma di lunghi condotti di areazione conditi da un ripetitivo quick time event finale. Rocksteady ci ha però messo anche del suo: quando si accede ad alcune zone più ampie parte spesso una bella ripresa panoramica delle stesse, che è estremamente efficace nel sottolinearne l’atmosfera ma che contemporaneamente consente al motore di “dare gli ultimi ritocchi” a livello di caricamento degli asset.

Il concetto è chiaro: l’Unreal Engine non è mai stato ai vertici nel renderizzare mappe molto ampie senza interruzioni. Concetto valido ora come allora, o non si spiegherebbe la battaglia di Digital Foundry contro gli stutter continui presenti in tanti giochi basati sull’iterazione più recente del motore. Parlo ovviamente della quarta, perché l’UE5 per adesso non è andato oltre a qualche tech demo. Gli sviluppatori ci hanno tenuto a precisare che la strettoia presente nella primissima demo è solo un pretesto per mostrare il dettaglio grafico della parete rocciosa, ma rimango lo stesso parecchio dubbioso. altri motori grafici affrontano diversamente il problema dei caricamenti Non tutti i motori grafici hanno problemi del genere, infatti molti riescono senza problemi a limitare l’utilizzo di caricamenti attraverso uno streaming dei dati costante, in molti casi basato su quello che entra effettivamente nel campo visivo del personaggio; quando si ha a che fare con vasti open world è una delle soluzioni migliori, come mostra questo documentario dedicato a Horizon: Zero Dawn (minuto 18:18). Sempre per rimanere in tema Sony, God of War (2018) non solo utilizza le strettoie per caricare le mappe più ampie, ma nasconde magistralmente il caricamento del viaggio rapido con l’Albero del Mondo, un’area dall’aspetto mozzafiato da attraversare senza fretta dove si svolgono alcuni interessanti dialoghi con Atreus (in parole povere bisogna sorbirsi la parola “boy” anche durante i caricamenti).

altri motori grafici affrontano diversamente il problema dei caricamenti

Cosa ne è stato delle classiche schermate di caricamento? Non sono affatto scomparse, ma ormai non si limitano più a barre di completamento su sfondo nero. Queste ultime sempre più spesso fanno spazio a piccoli loghi animati, che non permettono più al giocatore di capire a che punto è il caricamento; un tocco di furbizia che però può funzionare solo se l’attesa non è troppo lunga. La norma è che i caricamenti vengano accompagnati da testi scritti e/o orali che forniscono informazioni sul contesto narrativo, citazioni di personaggi famosi o consigli su questa o quella meccaniche di gameplay, senza dimenticare chi preferisce puntare sull’ironia o sul nonsense, come Sim City insegna. Ci sono poi i giochi di ruolo Bethesda, che permettono al giocatore di passare il tempo esaminando modelli tridimensionali di oggetti e personaggi, oppure di ammirare le sue stesse opere di fotografia virtuale (Fallout 76). Similmente, Destiny prova a riempire caricamenti non esattamente istantanei mostrando la nave del giocatore e quelle dei suoi compagni che viaggiano verso la loro destinazione, dando così maggior senso alla personalizzazione estetica. PARTICOLARMENTE INCISIVO, E INTERESSANTE A LIVELLO METANARRATIVO, È L’USO CHE NE VIENE FATTO DA SPEC OPS: THE LINEInfine, c’è chi ha fatto un passo ulteriore ed è approdato nell’ambito della metanarrazione. Sto parlando di Spec Ops: The Line. I caricamenti di questo sparatutto sembrano inizialmente innocui, limitandosi a schermate statiche con curiosità sul funzionamento delle forze militari o informazioni aggiuntive sulla trama. Poi però cambia tutto, la storia diventa più oscura, si inizia a dubitare della salute mentale del protagonista e questo si riflette sui testi: iniziano a comparire frasi dai contenuti sopra le righe che sembrano rivolte più al giocatore stesso che al suo avatar digitale (The US military does not condone the killing of unarmed combatants. But this isn’t real, so why should you care?). Potete trovarle tutte qui.

PARTICOLARMENTE INCISIVO, E INTERESSANTE A LIVELLO METANARRATIVO, È L’USO CHE NE VIENE FATTO DA SPEC OPS: THE LINE

Arrivati a questo punto, credo si sia capito che oggi il caricamento non è più solo un banale artificio tecnico, ma è diventato parte integrante della visione artistica del videogioco, capace di aggiungere ulteriori sfumature se non addirittura di dare significati diversi. È anche un puzzle da risolvere nel modo meno convenzionale possibile, una fonte di sperimentazione e un modo per dimostrare la capacità degli sviluppatori di pensare fuori dagli schemi. Farlo sparire completamente sarà anche segno dell’avanzamento tecnologico, ma non c’è il rischio che in questo modo si rafforzi la tendenza del mercato all’uniformazione? Siamo davvero disposti a barattare pochi secondi di attesa con tutto ciò?

Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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